L’impresa al sud contro i modelli assistenziali
di Francesco Parisi*
Fare impresa sociale al Sud significa tante cose. La cosa peggiore è che spesso non significa fare impresa ma inserirsi in un sistema clientelare per attingere a risorse pubbliche in modo strutturato e continuativo, e non significa neanche avere una sensibilità sociale ma assumere una forma giuridica che consenta di assumere con minori responsabilità comportamenti non proprio etici nella gestione di strutture e servizi sociali e socio-sanitari.
Tuttavia esiste al Sud una impresa sociale sana, alla quale mi sento di appartenere, che con molta fatica prova a fare quanto è necessario, al Sud come al Nord, per garantire dignità prima e benessere poi alle persone, soprattutto quelle che vivono condizioni di fragilità e vulnerabilità.
Fare impresa sociale significa mettere la persona al centro, con i suoi bisogni e le sue aspirazioni; farlo al sud significa spesso confrontarsi con persone per le quali il lavoro
nel sociale difficilmente è un obiettivo e, almeno inizialmente, nemmeno una scelta consapevole ma un ripiego, frutto degli scarsi livelli occupazionali e di un ventaglio ristrettissimo di opportunità.
Fare impresa sociale significa costruire processi di welfare comunitario capaci di rispondere in modo efficace e
sostenibile ai nuovi e profondi cambiamenti dello scenario sociale e ai bisogni emergenti dal territorio; farlo al Sud significa combattere contro un modello assistenziale attorno al quale si arrocca l’approccio clientelare della politica e l’autoreferenzialità di alcuni enti di terzo settore che, sebbene non rappresentativi, difendono i loro privilegi in una interlocuzione diretta con la pubblica amministrazione.
Io resto profondamente convinto che un’impresa sociale capace di seguire le direttrici di cui sopra, nonostante le difficoltà, i muri di gomma, gli attacchi mirati contro cui dovrà scontrarsi, riuscirà, anche al Sud, quanto meno a stare in piedi. Lo potrà fare, cerchiamo di farlo ogni giorno con la nostra coopera-
tiva Eridano, riconoscendo la necessità della complementarietà tra impresa sociale e volontariato, richiamando il valore assoluto del lavoro buono, vigilando sui percorsi di amministrazioni condivisa perché siano realmente innovativi e proficui, tutelando il bene sommo dell’interesse generale previsto dalla nostra Costituzione e descritto dal
Codice del Terzo settore. Attenzione: tutto questo può farlo una impresa sociale radicata sul proprio territorio e, per quanto possibile, espressione della comunità che lo vive. La favola, molto ricorrente al sud, della fantastica cooperativa del nord che «gratis et amore dei» viene a farlo in nostro soccorso è uno dei più grandi ostacoli per la crescita
e l’affermazione della cooperazione sociale sana nel nostro mezzogiorno.
*Presidente coop. Eridano